bruni
Di lei scrissi tante versioni. Capelli lisci bruni lunghissimi a coprire i seni quando si abbandonava sulla poltrona. Oppure nodosi come mangrovie che affondavano nelle acque del suo corpo. Pelle olivastra, pelle del color dell'ebano, pelle morbida e tenera da masticare. In altri casi aveva un pallore lunare che faceva contrasto con grandi sopracciglia scure. Labbra carnose o sottili linee tracciate con un pastello. Il sorriso le rivoluzionava il volto e l'espressione seria la rendeva una Elena di Troia, pronta a scatenare guerre al solo sguardo. Le curve lungo i suoi fianchi scandalizzavano le vecchie romboidi quando oscillavano lungo le strade della città, come a sfidare la rigidità delle linee più convenzionali. Un diverso passaggio ed ecco che quel corpo assumeva un aspetto esile e delicato come un fuscello. I passanti rimanevano scioccati da quella consistenza aliena e sgranavano gli occhi al suo passaggio, in bilico tra l'inorridire ed un certo desiderio inibito.
Una cosa non cambiavo mai. Un paio di occhi bruni e silenziosi, profondi e misteriosi come la grande notte che precedette l'esplosione dell'esistenza. Erano quegli occhi che volevo restassero per sempre, occhi di cui non riuscivo a fare a meno di cibarmi giorno e notte. Ne avevo bisogno come di aria che si respira. Li guardavo sbocciare la mattina quando si svegliava, a lungo ci sbirciavo dentro mentre lavorava attenta ai pamphlets e poi la notte ne scorgevo il luccichio alla luce fioca dei lampioni fuori, prima che le nostre danze affannose finissero nel piacere dell'ultimo flamenco. Quella concentrazione incredibile di remote tonalità mi avevano ormai trascinato in pensieri che non potevo più controllare. Dopo aver plasmato quelle sfere preziose in qualcosa di reale, sentivo di aver perso una buona fetta del mio regno e da quel momento in poi tutto sarebbe potuto succedere. Le mie invenzioni cominciavano a prendere il sopravvento sul loro creatore.